Il Dr. Luigi Ruggieri, Luigino per chi gli voleva bene, ci ha lasciati.
Ai colleghi più giovani questo nome probabilmente non dirà nulla
ma per quelli che lo hanno conosciuto è stato un modello di come
l’antica arte di Ippocrate deve essere realizzata. Ho avuto modo di
conoscerlo in un periodo molto importante per le mie scelte
professionali dopo il mio rientro a Taranto e una esperienza
formativa in Cattolica, prima, e nella prestigiosa Cardiologia di
Trieste successivamente.
In quella problematica fase di inserimento
nella nuova realtà lavorativa ebbi modo di conoscerlo. Ogni Giovedì
sera nel suo studio di Corso Umberto si riuniva un gruppo di
colleghi che lui coordinava in un aggiornamento continuo. Testi di
Medicina alla mano, argomento scelto e serrata ed efficace
discussione su problemi diagnostici e terapeutici. Considerava
l’aggiornamento un dovere dei professionisti, dovere che deriva
dalla loro etica e non, come successivamente è avvenuto, sotto la
minaccia di ipotetiche sanzioni se non viene accumulata una serie
di punti per anno legati ad eventi obbligatori. Una sconfitta, dal mio
punto di vista, per i professionisti.
Era dotato di una notevole
capacità empatica.
La anamnesi era raccolta all’interno di una
relazione che abbracciava i vari aspetti della personalità del
paziente che gli stava di fronte. Attuava in sostanza quella che una
codificatoria cultura anglosassone avrebbe chiamato Medicina
Narrativa, una modalità che, con il progressivo impoverimento della
relazione ed una ipertrofica enfatizzazione di una esasperata e
spesso sopravvalutata tecnologia, cercava di recuperare l’uomo
nella sua interezza, le sue aspettative, i suoi disagi, le sue paure,
l’angoscia della morte. In fondo realizzava l’ antico adagio “Nullus
medicus nisi philosophus” Era molto attento ai problemi
organizzativi. Sentiva molto il problema della continuità terapeutica
tra ospedale e territorio e, in questa ottica, quando un suo paziente
veniva ricoverato nel nostro reparto, veniva immancabilmente a
trovarlo e a discutere, già durante la degenza, come avrebbe
dovuto essere successivamente trattato. Era estremamente parco
nella richiesta di “accertamenti” di cui oggi si fa un abbondante e
ingiustificato uso.
La sua autorevolezza, che si era guadagnata sul
campo, glielo poteva permettere. Tenendo sempre vivi due aspetti
qualificanti nella relazione paziente-medico: la fiducia e la
speranza.
Considero un privilegio averlo conosciuto e averne
apprezzato le doti umane e professionali.
Che la terra gli sia lieve.
Dott. Nicola Baldi